Sorda sì, muta no.
La sordità non solo è una disabilità che non si vede ma è anche considerata una limitazione della comunicazione, tant’è che è grazie alla LIS (lingua italiana dei segni), che le persone sorde segnanti comunicano e, per questo, sono considerate una vera e propria comunità linguistica. Quindi, detto molto banalmente e semplicisticamente, rapportarsi con una persona sorda è come avere un dialogo con una persona straniera dove una non comprende la lingua dell’altra.
C’è poi da fare un ulteriore distinguo tra persone sorde oraliste (che pur non sentendo parlano correttamente) e sorde segnanti che, non avendo potuto apprendere la lingua parlata, si avvalgono della LIS. Ma con ciò non significa che queste siano “mute”!
Questa differenza è fondamentale per capire il perché sia corretta la definizione “persona sorda” e non più come un tempo “sordomuta”; anzi, per l’esattezza, il termine di “sordomuto” è stato addirittura abolito con la legge 20 febbraio 2006 n. 95, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 16 marzo 2006.
Fatte queste doverose premesse (anche se si sanno, è sempre bene rimarcare il concetto) vi racconto a tal proposito cosa mi è capitato proprio in virtù di questa infelice abitudine di chiamare le persone “sordomute”.
Qualche anno fa, quando ancora sciavo senza avere problemi di equilibrio (purtroppo, questa, è spesso una conseguenza della sordità) avevo organizzato con alcuni amici di trascorrere una settimana bianca a Sestriere, un comune delle Alpi Cozie e parte della Città Metropolitana di Torino che, con i suoi 2035 m s.l.m., è di fatto il comune più alto d’Italia. Sestriere, che si trova sul colle omonimo che mette in comunicazione la Val Chisone e la Valle di Susa, e insieme a Torino e Bardonecchia è diventato famoso per aver ospitato uno dei villaggi olimpici durante le mitiche e magiche Olimpiadi invernali del 2006.
Tornando, invece, alla mia avventura conoscete il detto “Il buongiorno si vede dal mattino”? significa che, spesso, si vede già dal principio la piega che può prendere – in positivo o in negativo – una vacanza o qualsiasi altra attività. Ebbene, già la prima sera della mia settimana bianca non passò inosservata.
Dopo aver trascorso piacevolmente la cena ed il dopocena, essendo un po’ più stanca degli altri decisi di salire per prima in stanza, dicendo che avrei aspettato sveglia la mia compagna di camera (tszè… e, voi, ci credete?).
Comunque, a suo tempo, ancora non sbandieravo la mia sordità, non portavo la protesi acustica e, tanto meno, non pensavo molto alle conseguenze; motivo per cui, incurante di tutto ciò che avrebbe potuto accadere, salii tranquillamente in camera e mi chiusi a chiave per sicurezza. Peccato che – come volevasi dimostrare – la stanchezza ebbe il sopravvento e, così, mi addormentai senza aspettare il rientro della mia amica!
Il mattino seguente, dopo una gran bella dormita, scesi beatamente a far colazione non accorgendomi nemmeno che l’altro letto fosse ancora intonso. Arrivata in sala, vidi i miei amici piuttosto infastiditi e, candidamente, chiesi loro: «ma cosa avete stamattina? Cos’è successo?». Dopo qualche non proprio velato insulto, mi raccontarono che quando la mia amica salì per raggiungermi in camera e andare a dormire, non avendo lei le chiavi della stanza, bussò affinché io le aprissi.
Peccato che, tra il mio sonno piuttosto pesante e la sordità, non risposi… E non ci fu niente da fare; inutile bussare più forte, nemmeno con calci e scarponi, il nulla! Ehhhh, se allora fosse esistito KitMe e l’avessi avuto come me, non avrei avuto tutti questi problemi!
In compenso, si svegliò praticamente mezzo albergo prodigandosi a turno per cercare di svegliarmi, inventendosi le cose più disparate fino a far suonare incessantemente il telefono dalla reception… Ogni tentativo fu inutile! A nessuno, tuttavia, venne in mente che io potessi essere sorda (questo capita soprattutto per persone giovani come ero io al tempo).
C’era persino chi pensava addirittura al peggio (che fossi morta!), se solo non fosse stato che, svegliatasi per il trambusto, un’altra amica del gruppo si sentì in dovere di rivelare il mio segreto (già, al tempo ancora lo tenevo segreto e me ne vergognavo) e, quindi, tranquillizzò tutti evitando di chiamare il personale addetto con il passepartout.
La mia compagna di stanza, poverina, invece, quella fatidica notte dovette accontentarsi di dormire vestita sulla poltrona nella stanza delle altre ragazze. Ancora oggi, ripensando alla scena dell’albergo tutto sveglio, un po’ mi vien da ridere anche se mi dispiace per l’accaduto.
Ovviamente mi ritrovai costretta a spiegare bene a tutti la mia situazione e il motivo del mio atteggiamento; fu anche la prima volta che presi coscienza che la sordità non deve essere sottovalutata e meglio se comunicata subito agli altri, fosse anche solo per la nostra stessa sicurezza. Cosa sarebbe successo in caso di necessità? Un allarme, una evacuazione? Non oso pensarci.
Fatta pace con tutti, riprendiamo la nostra vacanza e andiamo a sciare sulle bellissime piste della Via Lattea, un comprensorio sciistico internazionale che collega Sestriere, Sauze d’Oulx, Oulx, Sansicario, Cesana, Pragelato, Claviere e la francese Montgenèvre con ben 249 piste e 70 impianti di risalita che si alternano tra skilift, seggiovie e cabinovie. Una figata! (si può dire?)
Durante una di queste risalite in seggiovia, mi trovo seduta a fianco di un signore di mezza età che già prima, in attesa del nostro turno, parlava in continuazione ad alta voce con il gruppo di suoi amici sparsi un po’ lungo la pista. Ovviamente non prestavo la minima attenzione a quello che si dicevano, non solo per riservatezza, ma anche in virtù della mia sordità che richiede sempre molta attenzione; per cui, se non sono direttamente interessata, non ascolto (è proprio vero quando si dice che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire! 😁).
Anche durante il tragitto di risalita, costui parlava e parlava senza che io gli dessi retta pensando – tra l’altro – che si riferisse ai suoi amici; finché, ad un certo punto, questo tizio si mette a gridare forte: «eh, ma proprio a me devono capitare tutte belle ragazze sordomute?» al che, a sentire queste parole ben scandite, mi giro verso di lui e dico: «sorda sì, muta no! Sta parlando forse di me? Sa, perché io sono davvero sorda, ma parlo benissimo!».
Non vi dico… Dopo un tombale silenzio, vi lascio immaginare la faccia che fece questo tizio! Impallidito prima, e arrossito dopo, non finiva più di scusarsi; ancora un po’ si metteva a piangere e a cospargersi il capo di cenere. E io? Me la ridevo di gusto!
Scusatemi, ma ha avuto la lezione che meritava; un’altra volta impara a tenere la bocca chiusa e a pensare prima di parlare.
Morale: con la disabilità non si scherza anche se, paradossalmente, dobbiamo imparare ad essere autoironici. Ovvero, sì, si può scherzare, ma con cognizione di causa. Non vogliamo essere compatiti, ma nemmeno scherniti.
Concludendo, che sia in autonomia o in compagnia, viaggiare è sempre una bellissima esperienza solo se sappiamo come affrontare le più svariate situazioni. Buon viaggio!