Un treno chiamato desiderio…

da Nov 22, 2022In viaggio

OVVERO, IL DESIDERIO DI PRENDERE IL TRENO… GIUSTO!

Di Consolata Plantone

Prendere un treno, un aereo, un bus, guidare una macchina: sono il primo presupposto per iniziare a fare un viaggio. Ma se per la maggior parte delle persone, queste, sono attività semplici e potrebbero sembrare cosa assai banale, quando invece si tratta di persone disabili, e per di più sole e in autonomia, le cose si complicano notevolmente. Il nostro Paese, ancora e purtroppo, non è sufficientemente accessibile alle persone disabili, che sia tratti di disabilità motorie o sensoriali, come nel caso specifico della mia sordità.

Quando una persona con disabilità si mette in viaggio, più di altri desidera che il suo viaggio sia caratterizzato da quattro elementi:

  • Sicurezza: vuole sentirsi tutelata.
  • Informazioni: ha bisogno di sapere in tempo reale cosa accade intorno a lei.
  • Considerazione: vuole essere presa seriamente e, soprattutto, trattata con rispetto.
  • Tranquillità: vuole che il suo viaggio non abbia imprevisti e vada tutto bene.

Peccato che, purtroppo, questo non sempre accade e ci si ritrova spesso a sentirsi insicuri, disinformati per mancanza di informazioni accessibili, poco considerati e, ahimè, spesso anche trattati senza rispetto e dignità; il che porta inevitabilmente a non sentirsi per nulla tranquilli. Questo è il motivo per cui le persone disabili viaggiano meno di quanto potrebbero e di quanto vorrebbero fare, pur avendone l’opportunità.

Come ho scritto all’inizio dell’articolo, un viaggio è caratterizzato immancabilmente dall’utilizzo di un mezzo di trasporto; che si tratti di un mezzo pubblico come può essere un treno, un aereo oppure un mezzo proprio, come l’automobile o una bicicletta, ancora non abbiamo sufficienti strumenti che ci aiutino a rilevare tempestivamente rumori, segnali di allerta o consentire semplici comunicazioni si servizio.

Prima di addentrarmi in un’analisi più dettagliata delle criticità dei mezzi, vi racconto un piccolo aneddoto che mi capitò tempo fa.

Quando ero ragazza, ho viaggiato moltissimo con il treno: prima, per tre anni, come pendolare Torino-Milano in qualità di studentessa e, poi, sulla tratta Torino-Bari per questioni sentimentali, il treno era diventato quasi una seconda casa. A suo tempo, per fortuna, ci sentivo ancora relativamente bene (o, meglio, sentivo discretamente dall’orecchio destro mentre l’orecchio sinistro è sempre stato sordo fin dalla nascita), motivo per cui, credendo di “sentire bene” come tutti gli altri e di non avere problemi di comprensione, non mi sono mai fatta nessuno scrupolo a viaggiare. Non fino a quel sabato di tanti anni fa in cui presi la consapevolezza che, effettivamente, qualche criticità avrei potuto averla.

Da Torino ero andata a Novara a trovare alcuni carissimi amici; dopo aver trascorso una piacevolissima giornata arrivò il momento di salutarci e rientrare a casa per cui mi feci portare in stazione. Uno di loro, Marcello, sapendo della mia sordità, si offrì di accompagnarmi fino al binario e di aspettare con me l’arrivo del treno per essere sicuro che andasse tutto bene; ma essendo abituata a quella tratta (Novara, infatti, si trova sulla linea Torino-Milano) e dal momento che di lì a pochissimi minuti sarebbe arrivato il treno, lo ringraziai per la sua premura e disponibilità ma non mi sembrò il caso che si fermasse.

Quando arrivai al binario, notai che sulla pensilina oltre a me non c’era molta gente ad aspettare, ma avendo appena controllato il pannello informazioni dei treni in arrivo per assicurarmi che il binario fosse quello giusto, non prestai particolarmente attenzione e mi misi in attesa dell’arrivo del treno. A dire il vero, sentii dall’altoparlante un messaggio che diceva qualcosa sul treno in arrivo, ma non riuscendo a capire proprio tutto mi affidai al semplice guardare cosa stessero facendo le altre persone lì con me: vedendole pressoché tranquille non diedi troppa importanza all’informazione, non doveva poi essere così importante.

Una volta salita sul treno e sistemata a lato finestrino, mi misi a leggere come era mio solito fare; passati circa tre quarti d’ora il treno iniziò a rallentare e poco a poco, guardando fuori, iniziavano a comparire una dopo l’altra le case dell’hinterland milanese, paesaggio che a me era piuttosto noto. Solo in quel momento mi resi conto che… ero salita sul treno sbagliato!

Purtroppo, non avevo compreso dal famoso altoparlante alla stazione di Novara che c’era stato un disguido; motivo per cui avevano apportato all’ultimo un cambio di binario senza tuttavia darne comunicazione sul pannello delle informazioni. Praticamente, quando arrivai a Novara in stazione, il cambio era già stato annunciato una prima volta per cui le persone che erano lì sul binario erano già consapevoli che il treno sarebbe stato quello per Milano e non quello per Torino. Io, invece, sentii solo l’ultimo annuncio ma, appunto, non avendo capito molto di quello che si stava dicendo e guardando gli altri tranquilli non fui presa dal sospetto. Per fortuna che una volta giunta a Milano trovai facilmente un altro treno che mi riportasse a casa.

A distanza di oltre 30 anni, mi capitò una situazione analoga ma per fortuna – in quel caso – ero in compagnia di mio figlio che sentendo l’improvviso cambio, ci consentì di precipitarci al volo al binario giusto, altrimenti ci saremmo ritrovati in Svizzera.

Come si suol dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio: ovvero, nonostante siano passati così tanti anni e nonostante sia più diffusa una cultura di inclusione e accessibilità, viene sempre presa in considerazione la disabilità motoria, mentre nulla è cambiato purtroppo per migliorare l’accessibilità a chi ha disabilità sensoriali, soprattutto per le persone sorde.

Cosa mi ha insegnato questa avventura e cosa c’è da fare per migliorare.

Non sempre una disabilità che sopraggiunge in giovane età è subito accettata; nello specifico, poi, la sordità, si tende a nasconderla o a convincersi di sentire bene o pensare che si tratti di qualcosa di passeggero perché è una disabilità che ci allontana dalla socialità, non riuscendo a comunicare. Inizialmente tendiamo a isolarci, avendo paura di affrontare dialoghi che non si capiamo ed il timore di essere considerati tutt’altri che sordi. Atteggiamento di auto-esclusione, certo, ma anche paradossalmente di difesa che scaturisce, purtroppo, anche da una mentalità ereditata dalle generazioni passate; un tempo si vedeva la disabilità più come una colpa o qualcosa da nascondere.

Per fortuna, oggi, le cose stanno cambiando in meglio, c’è più attenzione, accettazione e maggiore cultura. Con il tempo, quindi, anche io ho preso maggior consapevolezza dei miei limiti e ho imparato che qualsiasi cosa può essere fatta diversamente; dobbiamo infatti adattarci alla nostra disabilità e trovare nuove soluzioni dove quelle attuali non rispondono alle nostre necessità. Non il contrario.

Tornando al viaggiare in treno, quindi, ho notato un sensibile miglioramento. Grazie allo sviluppo della tecnologia che ha fatto passi da gigante, tra apparecchi acustici sempre più sofisticati e app per lo smartphone con sistemi di “instant messaging”, tutto questo ha consentito di poter monitorare ugualmente le informazioni e gli avvisi che vengono diffusi tramite gli altoparlanti.

Ciò nonostante, quando non sono presenti supporti visivi, c’è ancora molto da fare per migliorare le comunicazioni che vengono diffuse da voci umane, perché di fatto – se non si fornisce una adeguata preparazione – la dizione è spesso soggetta a inflessioni locali, a parole impastate o dette a ritmo troppo veloce cosa che invece non accade con le voci sintetizzate che, in quanto tali, scandiscono meglio le parole.

Lo stesso dicasi negli aeroporti, nelle metropolitane e nella maggior parte di mezzi pubblici dove ancora oggi la stragrande maggioranza della comunicazione avviene verbalmente, soprattutto quella “d’emergenza”, e non attraverso una comunicazione scritta; tant’è che, addirittura, in alcuni luoghi particolarmente affollati e rumorosi, persino chi sente bene ha difficoltà di comprensione.

In alcuni aeroporti più “evoluti”, proprio per contrastare l’eccessivo rumore, il problema è stato risolto adottando una comunicazione esclusivamente visiva scritta con pannelli e monitor dislocati per tutto lo spazio aeroportuale, anche se in questo caso mi viene da pensare non sempre sia del tutto accessibile a chi ha problemi di vista. Del resto, se ci pensiamo, in aereo prima di partire, hostess e steward danno tutte le informazioni di sicurezza con un linguaggio gestuale, proprio per essere comprensibile e accessibile a tutti anche di diverse nazionalità.

La mobilità in auto, tuttavia, non è esente da analoghe problematiche; in autostrada dobbiamo sperare che vada tutto bene perché già se banalmente al passaggio del casello la sbarra non si dovesse alzare, comunicare tramite l’interfono è un’impresa.

Viaggiare da soli in autostrada in sicurezza è sempre il desiderio di chiunque ed è proprio per questo motivo che sono state installate lungo tutte le tratte autostradali le ben riconoscibili colonnine SOS, pensate proprio per consentire in qualsiasi momento di emergenza di chiamare il soccorso adeguato. Sebbene siano dislocate ogni circa 1500 m e siano dotate di tre differenti pulsanti per richiedere un soccorso sanitario, meccanico o dei Vigili del Fuoco, tuttavia per comunicare con gli operatori è sempre e solo presente un interfono.

Infatti, sebbene la tecnologia integrata GSM consenta agli operatori di geolocalizzare perfettamente il chiamante, i centri radio sono soliti contattare comunque l’automobilista per richiedere maggiori dettagli sulla natura del soccorso. Ed è proprio in questo caso che la sordità non viene contemplata, dando per scontato che le persone possano sentire e parlare.

E in tutti gli altri casi in cui non sia necessaria la colonnina SOS? Siamo sempre al punto di partenza: per richiedere assistenza autostradale, sono a disposizione solo numeri verdi e call center. E anche se ad oggi sono sempre più le compagnie assicurative che incentivavo i propri clienti ad installare sull’auto dei veri e propri dispositivi di soccorso in grado di richiedere direttamente assistenza attraverso un semplice pulsante, tuttavia per fornire il servizio si deve ancora passare attraverso un servizio vocale. Il problema per la comunità sorda permane.

L’auspicio è che nel prossimo futuro l’installazione di questi strumenti all’interno degli autoveicoli sia sempre più accessibile anche da parte delle persone sorde, combinando la chiamata con servizi di messaggistica scritta o video con operatori LIS.