Intervista a Alessandro Dessì: un sordo può…

da Giu 30, 2022Storie

Alessandro Dessì ha 48 anni e vive in provincia di Cagliari, dove ha ricoperto la carica di presidente ENS per
un lustro. Nato sordo, o forse lo è diventato poco dopo la nascita, si è laureato in Ingegneria Civile indirizzo
Strutture, passando attraverso un percorso in salita che ha scelto di affrontare a muso duro. Oggi ha
finalmente un lavoro che lo soddisfa e nel resto del tempo adora dilettarsi come videomaker, occuparsi di
grafica 3D, rendering e FX, ma anche godersi la natura viaggiando e in sella alla sua bici, oltre a nutrire una
passione smodata per l’Antica Roma. Crede nel potere della tecnologia che oggi lo rende molto più
autonomo nella vita di tutti i giorni fin dall’avvento dei primi SMS, ed è convinto che la sordità sia il suo
superpotere.

Quando si sono accorti della tua sordità? 

Ai miei tempi lo screening uditivo alla nascita non era così diffuso, tant’è che non è mai stato chiaro se io sia nato già sordo o se lo sia diventato. Probabilmente la mia sordità è legata a un’intossicazione catarrale avuta a circa un anno e mezzo di età e per la quale ho rischiato di morire; fortunatamente, grazie ai sanitari che fecero tutto il possibile per salvarmi la vita attraverso l’uso di potenti medicinali, sono qui a raccontarlo.

Quali rimedi e percorsi riabilitativo-educativi hanno scelto i tuoi genitori per te e come sono stati?

Subito dopo l’effettiva scoperta della mia sordità, i miei genitori non hanno minimamente perso tempo e mi hanno condotto immediatamente verso un sentiero educativo che potesse garantirmi nel futuro la possibilità di parlare bene seguendo tutte le regole grammaticali, una corretta pronuncia, una piena comprensione del parlato e dei testi scritti per poterne fedelmente esporre a voce e per iscritto i contenuti. Insomma, insieme abbiamo fatto un lavoro piuttosto grosso! Come dimenticare tutte quelle ore di esercizi durante la mattina a scuola, per poi riprendere a studiare appena mezz’ora dopo pranzo per finire spesso a mezzanotte o addirittura all’una? Era così tutti i giorni tranne i fine settimana, anche se capitava spesso che venissero dedicati ai compiti per il lunedì. Tutto questo lavoro tra casa e scuola andava di pari passo con la riabilitazione logopedica, e occupava quei pochi spazi vuoti rimasti tra i compiti e gli esercizi di comprensione… finché un giorno ho deciso che per me era ora di studiare autonomamente.

Quanto ha influito la sordità ha influito nella tua infanzia e nei tuoi studi? Hai avuto particolari difficoltà?

La mia sordità è sempre stata, e così sarà fino al mio ultimo respiro, “un bastone fra le ruote”! Fin dalla più tenera età, a scuola ho vissuto parecchi momenti di grande difficoltà in cui non mi sentivo compreso e accettato, escluso dal gruppo e dai suoi dialoghi.

Ho sempre frequentato la scuole pubbliche cercando di mantenere sempre un atteggiamento positivo, anche se non posso negare che ci siano stati tanti alti e i bassi, come capita a tutti. A partire dalle medie ho avuto al mio fianco diversi insegnanti di sostegno incaricati dal provveditorato della Provincia di Cagliari (scelti dalla grande e stimabile Dr.ssa Lucia Sollai), i quali però, a causa delle lungaggini burocratiche, arrivavano spesso ad anno inoltrato.

All’università, invece, il primo anno sono stato lasciato solo, senza un tutor, un prendi-appunti, o la possibilità di seguire le lezioni tramite sottotitoli o interprete LIS (che a quel tempo non mi sarebbe comunque servito, dato che non la conoscevo). Alla fine, mi sono ritrovato a frequentare delle lezioni dove non capivo nulla, a chiedere continuamente ai colleghi “Cos’ha detto? Mi presti per favore i tuoi appunti e sbobinature?”, mentre a casa studiavo il triplo, senza però riuscire ad andare avanti; nonostante la socializzazione coi colleghi procedesse bene, gli studi restavano a un punto morto finché non mi è passata la voglia di andare in facoltà.

In tanti hanno provato a scoraggiarmi, e non parlo soltanto degli udenti privi di empatia; paradossalmente, cosa che ritengo molto più grave, ci hanno provato anche alcuni sordi!

Un percorso universitario decisamente in salita

Mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria civile indirizzo strutture, dove ho passato più del doppio degli anni spesi nella scuola dell’obbligo; quindi, posso tranquillamente affermare che in vita mia ho studiato parecchio e, se partiamo dalla scuola elementare fino alla mia laurea… beh, ho trascorso sui libri ben 33 anni della mia vita!

All’università ho spesso avuto a che fare con alcuni docenti che hanno tentato di dissuadermi dall’intraprendere il percorso che avevo scelto, i quali vedevano la mia sordità come un problema che “meritasse” un lavoro extra, mascherando talvolta un atteggiamento particolarmente duro nei miei confronti con un “lo faccio per il tuo bene” (infatti gli esami di Analisi 1 e 2 li ricordo ancora alla perfezione, tanto li ho ripetuti!), ma in realtà l’ignoranza verso la disabilità era tanta e la preparazione dei docenti sull’argomento nulla. Certo, c’è stato anche chi si è dimostrato sensibile e interessato alla mia condizione di sordo, ma in generale non posso definire gli anni accademici propriamente una passeggiata; ho avuto tanti momenti “NO” dove il morale era sotto le scarpe e in cui ho pensato di mollare tutto, ma in fin dei conti… che cosa rappresentavano queste persone nella mia vita? Assolutamente niente! Ecco perché, ad un certo punto, mi sono detto “Alessandro, tutto è superabile, usa il cervello!”, e da lì non mi sono più fermato, andando dritto per la mia strada, grazie anche al supporto delle tante persone che mi volevano bene e credevano in me.

Per un breve tratto di percorso universitario ho potuto contare sul signor Salvatore Mastio che mi ha aiutato nella preparazione degli unici due esami che ho sostenuto nel biennio, ma soprattutto sull’Ingegner Corrado Monteverde, che per me ha rappresentato un vero punto di riferimento: insieme non studiavamo soltanto, ma parlavamo anche di molti argomenti interessanti e i suoi consigli mi hanno accompagnato fino al traguardo della laurea.

Quanto hai trovato accessibile il tuo percorso universitario?

Come studente sordo, la cosa più grave che ho potuto riscontrare a livello istituzionale è che, nonostante le ripetute sollecitazioni da parte mia e dei miei genitori affinché mi fossero garantiti i diritti all’accessibilità e all’inclusione, non ci sia stato nulla da fare! L’accessibilità è stata di livello zero, il tutor mi ha fornito un supporto prettamente burocratico: pare non ci fossero fondi né per me né per altri studenti con disabilità… La mia disabilità uditiva non ha, pertanto, reso questo percorso di studi semplice, ma se sono riuscito a raggiungere l’obiettivo che mi era prefissato (la laurea), sostenendo 30 esami e un’idoneità di lingua straniera, è solo grazie alla mia grinta e all’attitudine positiva che non mi è mai mancata e che nessuno riuscirà mai a togliermi!

Ora mi risulta che il percorso di studi per gli studenti sordi sia più accessibile e facilitato, forse anche un po’ troppo, dato che in molti si laureano a tempo record e a pieni voti, ma non essendo più coinvolto in ambito universitario non posso realmente esprimere un parere in merito, anche se mi sembra che si sia passati di punto in bianco a qualcosa di molto diverso nei risultati.

 A un certo punto sei finito pure sul giornale con la tua foto di laurea.

Esatto, ed è stata una forte emozione. Non ci sono però finito tanto per essere riuscito a laurearmi dopo così tanti anni (16!), piuttosto per dimostrare che un sordo può! Ricordo un convegno a cui ho partecipato anni fa, il cui slogan era I Can, We Can (IO Posso, NOI Possiamo): era applicato allo sport e alla disabilità, ma in realtà vale in tutti gli ambiti e, laddove la società ci pone davanti delle barriere che sembrano insormontabili, noi siamo in grado di buttarle giù e far vedere che la forza di volontà, perché I CAN-WE CAN, è più forte di un mondo ancora troppo inaccessibile alle persone sorde.

Com’è stato poi l’inserimento nel mondo del lavoro?

Dopo una laurea più che sudata, ho ricominciato a faticare, adattandomi a fare anche il lavapiatti, dato che come ingegnere venivo convocato ai colloqui tramite telefono; nonostante io riesca a sentire un minimo attraverso questo strumento, quando mi chiamavano – ignorando la mia richiesta di contatto via e-mail o SMS legata alla sordità – si accorgevano subito delle mie difficoltà e, immaginandosi una complessa gestione dei rapporti lavorativi con me, prontamente declinavano l’invito al colloquio. Nel frattempo, sono stato impegnato in ruoli istituzionali presso l’ENS di Cagliari come Presidente, e ho rappresentato e fornito supporto a chiunque ne avesse necessità.

Finalmente dopo tanto peregrinare nel mondo lavorativo, ho recentemente vinto un concorso presso un’Azienda Regionale dove mi trovo molto bene e in cui vige un degno rispetto tra colleghi: sono consapevoli che con loro lavori una persona sorda, e per questo mi fanno sentire incluso e si premurano di abbassare la mascherina ogni volta che sono in mia presenza, affinché io possa leggerne il labiale e comunicare naturalmente. Sulla mia scrivania c’è un classico telefono da ufficio che ovviamente non uso, ma si sa che quello fa parte dell’arredamento di default! Per le comunicazioni di lavoro, il personale dell’ente si avvale di un sistema interno di messaggistica istantanea che mi permette di comunicare
facilmente con tutti i colleghi.

C’è stato un momento in cui hai scoperto la tua identità sorda?

Sono cresciuto in mezzo agli udenti pur essendo sordo, e mi sono sempre sentito come se fossi udente anch’io: non ho mai negato la mia sordità, la accetto e ci convivo benissimo, anche se mi sento a cavallo tra due mondi, ciascuno dei quali non mi ha accolto in toto: “anche se stai con noi udenti tu sei sordo e quindi non siamo uguali”, oppure “sei oralista e quindi non sei abbastanza sordo come noi, non mi fido di te”. Mica bello vivere un limbo… a un certo punto mi sono avvicinato alla comunità sorda segnante, che verso la società ha un approccio diverso da quella puramente oralista o udente, e ho percepito ancor di più tutti i pregiudizi, le discriminazioni e le difficoltà che subisce. Le persone sorde segnanti sono diffidenti verso una società che non è abbastanza inclusiva e accessibile per loro e tendono ad allontanarsi, mentre dall’altra parte la società non conosce abbastanza bene questa comunità che quasi teme e, a sua volta, tende ad allontanare: è una specie di circolo vizioso.

Perché ad un certo punto hai deciso di imparare la LIS?

Mi sono avvicinato alla LIS nel 2007 quando ho conosciuto mia moglie Alessandra, sorda segnante: è per lei che l’ho imparata, per poter comunicare nello stesso modo. Ho appreso la LIS piuttosto velocemente e quasi naturalmente, grazie ai suoi insegnamenti attenti e severi; inoltre, è stata lei a condurmi nel mondo dei sordi segnanti in cui mi sono inserito bene e che, successivamente, grazie alla fiducia di tante persone socie dell’ENS di Cagliari, ne sono diventato addirittura il presidente per un mandato. Il mio obiettivo da presidente è sempre stato chiaro: aiutare le persone sorde a migliorare la propria vita sociale. Ho offerto tutto il mio supporto nella risoluzione di problemi sia ordinari che burocratici che interessassero la sfera scolastica, lavorativa e talvolta personale, rivestendo anche il ruolo del confidente laddove qualche socio manifestasse il bisogno di una persona di fiducia con cui sfogarsi per combattere solitudine e frustrazione. Tutto questo lavoro non l’ho fatto da solo, ma ho potuto contare su una squadra di lavoro ben solida e unita, dalla vicepresidente Marta Zuddas ai consiglieri Pietro Carta, Aldo Giovanni Garau, Vladimiro Atzori, Roberto D’Angelo, fino alla collaboratrice Luciana Ledda, e ne vado davvero molto fiero.

Oggi i miei figli Aurelio e Augusto conoscono la LIS e col tempo stanno diventando sempre più bravi a utilizzarla. Capiscono che la lingua dei segni sia lo strumento principale per comunicare con la mamma, mentre con me alternano i segni alla lingua parlata, comunque sia sono liberi di esprimersi spontaneamente nella maniera che preferiscono.

La sordità cosa ti ha dato e cosa invece ti ha tolto?

Mi ha dato un potere che gli udenti non possono capire. Un esempio? La capacità di leggere il labiale o il linguaggio corporeo anche a distanza, o quella di capire al volo il comportamento di una persona… per me fa tanto Mission Impossible!

E vogliamo parlare degli occhi che abbiamo dietro la testa e della capacità di vedere a 360 gradi? Quando guidiamo abbiamo un’attenzione particolare e riusciamo ad accorgerci del minimo cambiamento in strada: mentre voi udenti siete distratti dalla musica, noi vediamo che un’ambulanza sta arrivando prima che voi la possiate sentire! Alla faccia di chi chiede “ma i sordi possono guidare?”

Qual è il pregiudizio sulla sordità che ti infastidisce di più?

Non sopporto l’utilizzo di termini come sordomuto, linguaggio dei segni, diversamente abili etc.

Cari giornalisti, cari professori, cari udenti e cari tutti, ricordatevi che quelle sono parole offensive e che il termine “sordomuto” è pure sbagliato poiché è stato abrogato dalla legge nel 2006: la sordità è la condizione, il mutismo ne è eventualmente la conseguenza. Poi tenete bene a mente che noi sordi non siamo portatori di handicap, perché l’unico portatore di handicap è la società stessa, che non mette le persone con disabilità nelle stesse condizioni dei “cosiddetti normodotati”.

Hai un sogno nel cassetto?

Per me sogno una carriera nel mondo del lavoro, mentre per i sordi italiani e in particolare per quelli sardi, vorrei che fossimo tutti uniti nella costante lotta per l’ottenimento dei nostri diritti: state pur certi che io continuerò a esserci e a fare la mia parte.