Intervista a Martina Rebecca Romano: LIS Performer

da Mag 26, 2020Storie

Benvenuta Martina, raccontaci di te!

Sono una Torella, nata nel mese di maggio nel 1994, e quindi ho 26 anni. Dove vivo? Bella domanda, gli amici mi definiscono la ragazza con la valigia, mi sposto di continuo. Attualmente vivo a Vercelli con mio padre, è in una posizione strategica per raggiungere l’università a Milano, anche se in realtà sono cresciuta a Biella con mia madre. Le mie passioni sono tante. Mi definisco una ragazza affamata di vita, credo che siamo in questa vita per sperimentare e così cerco di sperimentare tutto quello che posso. Mi piace praticare sport – guai a chi me lo tocca – amo viaggiare e scoprire nuovi posti, adoro la montagna tutto l’anno e mi piace dedicare del tempo a me stessa tra lettura e meditazione. Ah sì, e provo pure un amore incondizionato per i cani.

Conosciamo meglio Martina Rebecca Romano

Quando si sono accorti della tua sordità?

Un giorno i miei genitori sono venuti a prendermi all’asilo e le maestre dicevano che non mi giravo più quando mi chiamavano. Allora i miei genitori decisero di fare un esperimento a casa: mentre guardavo il mio cartone preferito “Il re leone” provarono ad abbassare e sollevare il volume della tv… Niente, non mi giravo. Questo successe quando avevo circa due anni e mezzo, così i miei decisero di portarmi a Ferrara per fare il test sulla sordità. Tutt’oggi la causa non è chiara, ma si presume che a livello medico sia stata causata dalla somministrazione di un antibiotico o un vaccino, mentre a livello psicologico da un trauma.

Quali rimedi e percorsi hanno scelto i tuoi genitori per te? Tornando indietro, pensi che abbiano fatto la scelta giusta o la cambieresti?

Guardando il mio passato non cambierei nulla. Devo ringraziare soprattutto mio nonno, a cui una sua collega di lavoro sorda, aveva suggerito di portarmi a Biella, dove avrebbero potuto seguirmi in modo adeguato. Il consiglio venne accettato e messo in pratica. Nel mio percorso di riabilitazione con la logopedista Maria Teresa Lerda, di cui ho ereditato la famosa “R moscia”, mia madre mi ha insegnato la Lingua dei Segni che, così affiancata alla logopedia col tempo mi ha fatto sviluppar la parola. Proprio vicino a Biella, a Cossato, c’era e c’è ancora oggi la famosa scuola con il progetto Bilinguismo, che ho frequentato. Grazie a questa scuola, che mi ha aiutato a farmi sentire integrata nella società, oggi posso di fatto definirmi una sorda bilingue poiché parlo la lingua italiana e segno la Lingua dei Segni Italiana.

Già, a proposito di scuola, com’è stata?

Per quanto riguarda le scuole, mi considero molto fortunata. Dalla scuola materna alle medie le ho frequentate presso l’Istituto Comprensivo di Cossato (BI), che accoglie al suo interno il progetto Bilinguismo, un esperimento perfettamente riuscito e conosciuto in tutta Italia (e non solo). Il progetto prevede la coesistenza e l’integrazione tra i bambini sordi e udenti. Esiste il laboratorio LIS, dove i bambini sordi approfondiscono la Lingua dei segni e gli udenti la imparano. Le lezioni dei docenti sono tradotte in simultanea dall’interprete. Dopo le medie ho deciso di frequentare il Liceo tecnologico ambientale, e mi sono dovuta separare dai miei tre compagni sordi, perché loro avevano scelto il liceo artistico. Così, mi sono ritrovata in una classe completamente nuova, non ero più nella “bolla protetta del progetto bilinguismo”; ero anche l’unica allieva sorda e le ore dell’interprete e dell’insegnante di sostengno erano piuttosto ridotte, tant’è che mi capitava di trovarmi da sola per alcune ore di lezione.

Martina Rebecca Romano
Martina Rebecca Romano

Devo però ammettere che i professori con me sono sempre stati molto premurosi e stimolanti. Finito il liceo, dopo un open day sui corsi di laurea, ho deciso di continuare a studiare. Ho scelto l’università IULM di Milano, presso cui ho conseguito la laurea triennale in Comunicazione, media e pubblicità. Durante gli anni della triennale, fortunatamente non ero sola ma c’era con me Micaela Candrilli, anche lei sorda, che è diventata la mia compagna di avventure; infatti il supporto per una studentessa sorda come me era di sole 6 ore a settimana, quindi direi molto poco… ma pur di laureami ho deciso di non mollare, e questo lo devo anche a tutti coloro che hanno creduto in me e mi hanno sempre stimolata. Devo ringraziare anche il mio papà che per me è stato un modello e non ha mai smesso di insistere e starmi accanto anche nei momenti di sconforto. Dopo la laurea triennale ho seguito un master alla Cattolica di Brescia sul Green job, e fortunatamente lì avevo dei colleghi di corso che mi passavano gli appunti di continuo. Finito il master ho sentito il desiderio di continuare a studiare, così sono tornata all’Università IULM per frequentare la specialistica in Marketing, consumi e comunicazione. Anche qui ho incontrato dei colleghi molto gentili che mi hanno aiutata con gli appunti, e manca pochissimo alla laurea.  

Mi racconti della tua tesi?

Certamente! La mia tesi ha come obiettivo la sensibilizzazione dei Brand verso l’inclusione, nello specifico l’inclusione dei brand verso il consumatore sordo. Oggi più che mai il valore che ognuno di noi associa a un marchio, a un brand o a un’azienda, fa la differenza, e la fa perché come consumatori scegliamo chi più ci rappresenta. Analizzo il concetto di diversità, quella vasta gamma di parametri come etnia, caratteristiche fisiche, abilità, genere, orientamenti sessuali e culture che caratterizzano la nostra società; infatti, negli ultimi anni l’inclusione di queste diversità sta andando oltre gli stereotipi e cambiando il modo in cui la società le percepisce, grazie ad una strategia capace di aumentare la sensibilità verso l’inclusione.

Quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato e che incontri oggi?

La sordità la definiscono una disabilità invisibile, e infatti non si vede. Nella vita ho riscontrato molte difficoltà, mi vengono in mente le lezioni all’Università, dove ascoltare con gli occhi per ore è stato difficile e faticoso, oppure gli udenti che spesso si dimenticano che sono sorda e che in determinate situazioni potrei avere difficoltà. Ok, parlo abbastanza bene, ma rimango comunque sorda e loro se lo scordano…

Sei mai stata discriminata perché sorda?

Ci sono stati diversi episodi, soprattutto nell’infanzia. Da bambina avevo i capelli corti o l’abitudine di raccoglierli in una coda, e così i miei apparecchi erano ben visibili. Gli altri bambini mi prendevano in giro chiedendomi cos’è che avessi nelle orecchie o perché non sentissi o avessi difficoltà a relazionarmi. Per fortuna mia sorella Francesca, più piccola di me di due anni, che era la mia eroina, mi ha sempre difesa e stimolata, e mi ha insegnato a difendermi individuando un difetto dell’altro e chiedendogli il perché. Vi faccio un esempio, “perché tu porti gli occhiali?”.

Martina Rebecca Romano LIS Performer Sanremo

Martina Rebecca Romano, LIS Performer: l’esperienza a Sanremo

Tu sei stata una dei 15 LIS performer dello scorso Sanremo, una dei soli due LIS performer sordi, perciò non posso non chiedertelo… Mi racconti di Sanremo LIS?

Un giorno ricevo in privato l’annuncio del casting indetto dalla Rai per dei performer sordi e udenti. Così mi sono candidata, ci ho voluto provare, ho passato il casting e tra novembre-dicembre sono andata a Roma per fare il provino accompagnata da mia sorella Francesca, che in questa cosa ci credeva più di me. Finito il provino, non ero poi tanto soddisfatta per come fosse andato, ma in un giorno di gennaio, quando ero immersa nella sessione degli esami invernali, ho ricevuto una videochiamata da Laura Santarelli (direttrice dei LIS performer) che mi ha detto di essere stata scelta! Non vi dico l’emozione, l’adrenalina… È stata una grande sfida, ho dovuto sconfiggere la mia timidezza e mettermi in gioco, come con la canzone di Elettra Lamborghini, per la quale oltre a segnare dovevo anche ballare. Abbiamo avuto solo una settimana di prove, e a volte di poche ore perché i brani arrivavano la mattina per la sera stessa. Trovarmi in uno studio virtuale, con quattro telecamere davanti a me, è stato molto difficile, bisognava fissare la lucina rossa della telecamera e guardare tutti gli impulsi comunicativi, come osservare il regista per capire quando entrare e uscire dalla scena, guardare la coreografa che suggeriva i movimenti, poi dovevo guardare Moira Sbriccioli che dava i tempi musicali. Insomma, in tutto questo bisognava sorridere e concentrarsi sul brano; il programma era in diretta e tutto poteva succedere.
Ho amato tradurre e interpretare il brano “8 marzo” di Tecla Insolia, uno dei brani delle nuove proposte di Sanremo 2020. La cantante stessa afferma che questo brano parla delle donne e della loro forza nell’affrontare la vita di ogni giorno, anche nei momenti più duri. Io sono una ragazza acqua e sapone e mi sono sentita onorata all’idea di portare il messaggio anche alle donne sorde che magari hanno subìto o stanno subendo delle violenze e cercano di ribellarsi e rifiorire trovando dentro di se’ la forza e il coraggio. Non basta ricordare la donna con una festa sul calendario, né con un fiore.

In cosa consisteva la preparazione dei performer al fine di portare a buon fine questo lavoro? Oltre a Sanremo LIS, hai avuto altre esperienze come performer?

Essere un LIS performer non consiste solo nella traduzione delle canzoni, ma significa rendere l’esperienza artistica multisensoriale accompagnandola col movimento del corpo, il più possibile coerente col ritmo della canzone. Tutto questo avviene attraverso lo studio del brano, attraverso i suoi messaggi e le metafore da far emergere. Ma soprattutto ci vogliono tante e tante prove. Facevamo orari assurdi pur di rendere la canzone più chiara possibile e capace di arrivare a tutti. Inoltre, essere una performer sorda, è stata dura: abbiamo due occhi, ma servivano per guardare la regia che ci diceva quando entrare e uscire in scena, il coreografo che ci aiutava con i movimenti, io avevo l’interprete Moira Sbriccioli davanti a me e accanto alle telecamere, lei mi dava i tempi musicali. In passato ho avuto altre occasioni per esibirmi come performer, per esempio sono stata allo Zecchino d’oro con il coro LIS, al concerto gospel di Biella con il coro LIS, ho partecipato a progetti universitari multimediali dove ho portato una canzone in LIS, e molti altri… Ho poi partecipato e condotto con Enrica Zoleo il programma radiofonico visivo “PO.LIS” di Poli.Radio, la digital radio ufficiale degli studenti del Politecnico di Milano.

Ho visto che durante una canzone di Sanremo hai indossato la maglia “I love LIS”, che mi dici a riguardo?

Un giorno durante le prove ho indossato quella maglia, e non appena Laura Santarelli mi vide, mi suggerì di indossarla in diretta per la canzone di Riki “Lo sappiamo entrambi” che ho interpretato con Zena Vanacore. Lo scopo era quello di evidenziare il bel passo avanti in termini di accessibilità fatto dalla Rai con questo Sanremo, ma anche per ricordare che per garantire la piena accessibilità, anche se, c’è ancora tanto da fare… Quella maglia era l’occasione per dare visibilità alla causa e sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla LIS, di cui da tempo si attende il riconoscimento come lingua ufficiale. L’Italia è infatti rimasto l’unico paese in Europa a non aver riconosciuto a livello nazionale la Lingua dei segni, nonostante sia una lingua vera e propria e usata da più di 40mila persone sorde segnanti e migliaia di udenti che la imparano per ragioni lavorative, personali e per poter comunicare a più ampio raggio. Indossarla è stato un modo per mandare il messaggio, “il mio desiderio è che la LIS venga riconosciuta”.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Non basterebbero tutte quante le parole del vocabolario per esprimerlo. Innanzitutto è stata una grande scommessa personale dove mi sono messa in gioco con il mondo della televisione e con me stessa. Non credevo ci fosse tanto lavoro dietro le quinte di un programma per il piccolo schermo! Ricorderò soprattutto il gruppo dei performer, sempre pronti a sostenerci a vicenda, ormai siamo come una famiglia e ancora oggi ci sentiamo regolarmente.

La sordità cosa ti ha dato e cosa invece ti ha tolto?

La sordità mi ha insegnato a vedere le cose in un’altra prospettiva, mi ha insegnato l’arte dell’osservare e del sentire attraverso il corpo, il tatto e il contatto. Ma soprattutto, mi ha aiutata a tornare a parlare. Il mio più grande desiderio è che la LIS venga riconosciuta a tutti gli effetti, come merita. Senza di essa non sarei ciò che sono. Cosa mi ha tolto invece? La possibilità di sentire in determinati momenti e luoghi.

FIGLI: hai mai pensato all’ipotesi di avere dei figli sordi o udenti? Cosa temi o cosa speri?

Non ho ancora pensato all’ipotesi di avere dei figli, ma se mai dovessi averne, sordo o udente non farebbe la differenza. Vorrei soltanto che avessero quello che ho avuto io e che frequentassero il progetto di bilinguismo Lingua italiana–Lingua dei Segni Italiana. E soprattutto, indipendentemente da quello che sono, mi piacerebbe tanto che imparassero la LIS come se fosse la loro madre lingua.

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Dai un consiglio a te stessa

Riporto una frase che mi ha ispirata nei momenti difficili e mi ha aiutata a trovare la forza dentro di me, che magari potrebbe essere d’aiuto per altri, di Marlee Matlin, attrice sorda statunitense che vinse il premio oscar come migliore attrice, “La sordità è una disabilità, ma la vera barriera è quella mentale”. Nonostante le difficoltà, se uno ha un sogno, non deve mollare, con fiducia e costanza, tutto è possibile.